Storia di Mestrino
Il territorio del comune di Mestrino si estende per buona parte lungo la SS n.11, detta anche strada Mestrina, coincide con la strada romana Patavium – Vicetia, l’antica via che portava ad Altino, poi a Oderzo arrivava ad Aquileia, il grande centro portuale della X Legio Venetia ed Histria.
La strada pertanto, appena superato il confine con il vicentino, arrivava alla Stazio Ad Finem (Arlesega).
Che fosse proprio questa, la strada preferita per Padova, lo prova l’essere ricordata da tutti e tre i maggiori itinerari antichi.
Possediamo infatti tre importanti documenti che testimoniano e riportano gli antichi itinerari della Venetia e dell’Histria: l’Itinerario di Antonino, l’Itinerario Burdigalense e nella Carta Peutingeriana.
La Statio ad Finem di Arlesega, era il luogo di sosta si potrebbe dire fondamentale, lungo la via di Padova – Vicenza, dove proprio a metà percorso, anche per rendere meno faticoso il viaggio, si poteva trovare, non solo un luogo di ristoro, dove i viaggiatori avevano la possibilità di trovare cibo e pernottamento, ma anche nel comodo largo fluviale del Ceresone, si potevano dissetare i cavalli che poi venivano ospitati nelle stalle e nel portico.
Nel tempo, a questo luogo di sosta, si sono aggiunte case di abitazione, poi un piccolo emporio, infine un mulino, che ebbe nei secoli una straordinaria importanza per l’economia rurale di tutto il circondario.
La più chiara e documentata presenza di un luogo abitato fin dall’antichità, è il ritrovamento nella frazione di Lissaro, di una cuspide di lancia in silice rossastra con codolo uniforme, molto sottile e molto fine il ritocco bifacciale di età neolitica.
Della romanità del territorio, sono i “frequenti ritrovamenti nel territorio del comune di Mestrino, di anfore vinarie romane”, in particolare “sulla via per Vicenza, ma in località non precisata, si trovò nel 1812, la lapide funeraria, di buona età imperiale, di C. Acilius, concordiale patavino”
La lapide porta la seguente iscrizione:
C(AIO) ACILIUS C(AIO) L(IBERTO)
SEVERUS CON(CORDIALE)
ACILIAE C(AIO) L(IBERTA)
SECUNDAE MATRI
PLOTIA LIBERTA ET DONATA LIBERTA
DONATAE
T.F.I.
si tratta, di Caio Acilius, sacerdote patavino del tempio della dea Concordia, che avendo ricevuto la libertà dal suo padrone Caio Acilio, ordinò per testamento che fosse eretto un sepolcro a sé, a sua madre Acilia Seconda, liberta di Caio Attilio, ed anche a Plozia Donata liberta, moglie di Lucio Plozio.
Il territorio comunale comprende la frazione di Arlesega, luogo di confine di importanza strategica con il vicentino dove l’estremo margine provinciale tocca la località del Soco - Zocco, con l’antica chiesetta-ospedale di S. Maria, esistente già nel 1252, posta quasi a presidio dell’antica strada, poi il confine prosegue verso nord-est, segue il limite con il vicentino toccando Poiana di Granfion, includendo il territorio detto le “magre”, terre rese aspre e dure specialmente nei mesi più assolati. Più in là, il vecchio Ceresone segna il confine con Lissaro, mentre a sud, la strada Mestrina poco oltre il “ponte dei do’ compari”, porta il limite comunale con il territorio di Veggiano attraversato dalle acque dei due Ceresone.
Davvero prezioso per la storia di Mestrino è il documento del 23 maggio 1183, nel quale una parte l’eredità di Albertino da Baone venivano assegnati alla figlia Beatrice anche dei beni che erano posti “in Mistrino”. E’ la prima volta che il suo toponimo si incontra in un documento pubblico.
L’8 giugno 1191, il papa Celestino III, confermando i possessi dell'Abbazia di san Silvestro di Nonantola elenca anche la chiesa di San Silvestro di Mestrino, con annesso piccolo monastero-ospizio. Un secolo dopo, nel 1297, compare una “ecclesiae S. Bartholomei de Mestrino”. Nella visita pastorale di Niccolò Ormanetto, il 21 maggio 1572, descrive la chiesa parrocchiale a tre navate con cinque altari e il campanile. Il 21 giugno 1689, la navata centrale crollò. Il parroco Giovanni Zara la fece ricostruire, sui vecchi muri maestri. La chiesa fu visitata il 26 aprile 1695, da S. Gregorio Barbarigo, la trovò “ricostruita ed eretta con la massima diligenza pietà e zelo”. Fu consacrata dal card. Giorgio II Corner il 26 maggio 1708.
Tra il 1876 e il 1880, per opera di don Angelo Candeo, fu costruito il campanile e dotato il 6 novembre 1881, di un nuovo concerto di campane, fuse dalla ditta Pietro Colbachini di Bassano. Lo stesso parroco don Candeo nella relazione alla visita vescovile del card. G. Callegari dichiarava che “la chiesa e per bisogno della popolazione e per la poca sicurezza dei muri (era stato necessario puntellarli l’anno prima) e per mancanza di architettura avrebbe bisogno d’essere rifatta dalle fondamenta”, diede inizio alla costruzione della nuova chiesa parrocchiale tra il 1894 e il 1897, in sostituzione di quella seicentesca. Costruita in un’unica navata, in stile classico corinzio, di grande effetto di forme armoniose, con cinque altari. La facciata fu terminata nel 1911 e il pavimento nel 1928. L’artistico e splendido altare maggiore, fu acquistato nel 1938 dal parroco don Antonio Frigo, proviene dalla chiesa di San Francesco della Vigna di Venezia. Ha un prezioso paliotto attribuito a Baldassare Longhena, mentre il gruppo scultoreo dell’Annunciazione è opere di Pietro Baratta (sec. XVII). L’altare della Madonna del Rosario (tardo sec. XVII) e probabilmente l’altare maggiore della chiesa precedente, mentre quello di sant’Antonio proviene dalla demolita chiesa di Carturo (sec. XVIII).
Tra il 1934 e il 1935, per il soffitto della navata centrale, i pittori Silvio Travaglia e Antonio Soranzo hanno eseguito due dipinti a olio su legno raffiguranti il Martirio e la Gloria di san Bartolomeo.
Nel 1995, fu ricostruito il nuovo portale, decorato con quattro formelle in bronzo opera di Alberto Verza. Nel 1999, don Antonio Fasolo, nel rispetto delle nuove norme liturgiche conciliari, il presbiterio fu adeguato al nuovo ordinamento liturgico, con un nuovo altare per la celebrazione e con un nuovo ambone in marmo bianco di Carrara, opera dello scultore Romeo Sandrin.